Com'è iniziata ...

Mi avevano detto che i figli bisogna averli da giovane.
Mi avevano detto che dopo i 35 è rischioso e anche faticoso.
Mi avevano detto che dopo i 40 è follia.
Quello che non dicevo io era che non avevo tutta questa intenzione di riprodurmi.
E niente, poi è andata che mi sono ritrovata a scrivere un blog per mamme, con un occhio di riguardo alle over 40.

mercoledì 28 dicembre 2016

E per il 2017 vorrei .... anzi voglio :)

Natale passa, nonostante le pile non incluse e si sfilaccia anche l’anno.
Ne inizia uno nuovo, tra poco. 
Non so voi, ma quando ho un anno nuovo lo tratto un po’ come l’agenda appena comprata: un po’ mi emoziona, un po’ quella cosa che sia intonsa mi mette ansia. Ma io sono ansia, quindi non faccio testo.
Comunque. Anno nuovo vita nuova. Mi piacerebbe davvero fosse così, che ogni anno ci fosse una piccola, ma anche grande eh, svolta di quelle che ti fanno partire per un nuovo viaggio. Ritrovarmi altrove al prossimodicembre, per ripartire di nuovo.
Sono giorni di bilanci. Sono positiva e mi dico sempre che è andato tutto bene, ma qualche sassolino nella scarpa resta e i sassolini più vecchi cominciano a dare davvero fastidio.
Mi chiedevo tra un panettone e l’altro se adesso, dopo quasi 6 anni di Cig, può essere un buon momento per cambiare ciò che desidero cambiare. Perché se mamma cambia qualcosa un po’ ne risente tutta la famiglia.
Per cui è importante che i compagni di viaggio sappiano come affrontare il momento. Che tradotto vuol dire: a quale età della prole una mamma può tornare a pensare a se stessa con maggior concentrazione?
Credo che la risposta giusta sia mai più, bella mia.
Quella di compromesso invece è: quando te la senti tu, mamma.
Ecco. Se il panettone (vegan) non mi ha onnubilato troppo, direi che il momento è proprio questo. Sono prontissima.
Ciò che di tutto cuore mi auguro per 2017 è un bel cambiamento, positivo, energetico, rivitalizzante. 
Tu, cosa ti auguri?

venerdì 23 dicembre 2016

BUON NATALE

Il post di auguri lo scrivo dal treno, di ritorno dall'ultima trasferta dell'anno.
È  stato un anno parecchio gironzolone e, come si dice sempre, gli anni passano e tutti i km valgono doppio secondo me.

Auguri a tutti, che sia un Natale bello, anche che se l'aria, tra guerre e attentati, ha soffiato via gran parte della magia.
Che sia un Natale da bambini, con quello sguardo li, a stella luminosa, quando si aprono i pacchetti.  Con identica attesa, guardando dalla finestra, che magari Babbo quest'anno ci fa una sorpresa e potremo abbracciarlo.
Un Natale di sorrisi e sane risate, di abbracci rotondi e avvolgenti, di baci stampati su tutte le guance.
Un Natale di belle sorprese e bocche aperte, di mani che applaudono o si tengono all'altro per stare tutti un po' più vicini.
Un Natale d'amore, che dire col cuore ti voglio bene resta sempre un gran regalo.
Di sogni sognati anche a occhi aperti, o su quelli appena chiusi di un bimbo che dorme.
Un Natale per osare  nuove cose, scompaginare e ricostruire.
Natale vicino, anche a chi è tanto lontano.
Natale come lo desiderate, che non sia forma, ma molta sostanza.
Di dolci a perdere la forma, che tanto poi ci sarà la dieta dell'anno, quella miracolosa.
Natale non troppo sul serio, ma anche un po' stupidino.
Auguri così,  morbidi morbidi, come le onde del mare o la neve che cade.

BUON NATALE ❤️❤️❤️





venerdì 16 dicembre 2016

I canditi

Considerato che è Natale è un attimo trovarsi a parlare di canditi.
Quelli del panettone o del pandolce genovese.
Quelli che adornano i vassoi di frutta secca.
Quelli della mostarda.
Quelli che prendono smog sulle bancarelle dei mercatini di Natale.
Ci fanno anche le pubblicità sull’importanza di avere o no i canditi nei dolci di Natale.
Che Natale sia un tantino candito salta agli occhi ed è a Natale che la popolazione si divide nettamente i due fazioni: i canditiani e gli scanditi.
Ai canditiani i canditi piacciono, punto.
Agli scanditi non è detto che i canditi non piacciano, ma di sicuro non piacciono dentro qualcos’altro. La scorzetta d’arancia ricoperta di cioccolato fondente, per esempio, è una cosa; la stessa scorzetta frantumata e messa a tradimento in un panettone è un’altra. Gli scanditi sono persone complicate.
E’ normale, dunque, di questi tempi, trovarsi a chiacchierare di canditi, che per dicembre soppiantano quasi in toto le conversazioni sul meteo.
Proprio chiacchierando del candito più e del candito meno con una canditiana che mi ha arrivata la domanda che nessuno mi aveva mai fatto.
“Uh, ma quindi anche tu adori i canditi è per questo che hai chiamato così il tuo blog, vero?”
Adori i canditi, a una scandita come me, suona malissimo. Ma male proprio e ho dovuto mettermi di impegno per non fare subito la faccia offesa.
“Scusa, ma allora perché Pensieri Canditi?”
Perché i canditi li tolgo sempre, li lascio sul piatto, li guardo, li trovo carini nei loro vari colori, ma per me sono qualcosa di assolutamente avulso da qualsiasi cibo in cui si possano trovare. I canditi sono una cosa a sé, un mondo a parte. Un po’ come il mondo su cui atterri con la maternità.
Quando ho pensato al titolo di questo blog, che volevo diverso, almeno un pochino, dai tanti blog mammeschi, ho pensato che le cose da scrivere qui sarebbero statcome i canditi: non li mangio senza pensarci, non li mischio con altri sapori, li voglio vedere nel piatto, osservarli a uno a uno, perché ogni candito, così come i pensieri, è diverso dall’altro.
E come i canditi, anche i pensieri, non è detto che mi piacciano ;)







mercoledì 14 dicembre 2016

Sono una mamma Grinch

Che mancano 10 giorni a Natale ve l’avranno già detto.
Di fare regali intelligenti, pure.
Che il calendario dell’avvento è più bello se è fatto da voi, con tutorial a supporto, non lo dico neanche. In questo caso mi sento solo di aggiungere che molti mentono. Un calendario dell’avvento se non è fatto più che bene è brutto, anche se frutto di un lampo creativo che neppure una stella cometa.
Poi vi avranno detto di essere più buoni, generosi, altruisti, che basta il pensiero purchè di boutique e ricordatevi di fare la lista dei buoni propositi che poi è un attimo che siamo a fine anno.
Di ricette per pranzi, cene, spuntini e merende ne trovate ovunque.
E’ temporaneamente sospesa la questione dieta, ma occhio che dal 7 gennaio si inizia quella della prova bikini.
Ogni anno di questi tempi gli argomenti scarseggiano.
O parli di Natale o cosa altro vuoi dire.
Di Natale però parlano tutti e arriviamo al 25 sfrantumaticome le palle dell’albero caduto grazie al gatto di casa.
Sono una mamma Grinch. Inutile girarci intorno.
L’albero di Natale ingombra.
Il presepe ad andar bene viene abbattuto dal gatto e Gesù Bambino passa gran parte del tempo sotto il divano.
Le luminarie sui balconi ricordano piccoli lunaparkabbandonati
I Babbo Natale che si arrampicano andrebbero denunciati per violazione di domicilio. O almeno appesi bene, che altrimenti sembra un Babbo appena impiccato e ti viene una tristezza che ciao.
Lo spirito del Natale lo preferisco alcolico, per reggere bene il tour de force.
Non voglio affrontare la questione pacchetti. Esistono ancora negozi che non fanno il pacchetto regalo e ti consegnano il kit fai da te. Se avessi il tempo di fare da me non userei la vostra carta, tanto per capirci, e comunque potreste essere molto più collaborativi, no?
Cosa volete che vi dica io sul Natale.
Ho pacchettini nascosti in ogni dove e non credo li ritroverò per  tempo. Magari salteranno fuori tra qualche anno, un po’ stropicciati.
Non ho un centrotavola.
Ho un centinaio di candele rosse. Le ricompro ogni anno e poi mi dimentico.
Ho Natali così, disastrati, leggermente disadattati.
Sono l’unica?




sabato 3 dicembre 2016

Se spazzi la neve, dove passa la slitta di Babbo Natale?

L'allarme arriva da UK.
La tendenza dei genitori è fare da spazzaneve ai figli, cioè spianare ogni tipo di difficoltà, evitare loro qualunque fallimento e portarli così, intonsi e imbranati, alla maggiore età.
Non solo, i genitori di oggi hanno un'ansia patologica da primo della classe, non accettano che i loro pargoli possano essere secondi o, impensabile, non classificati in qualcosa. Non certo perché abbiano vecchi valori, tipo il senso del dovere, l'amore per le cose fatte bene o cose così, ma molto più pragmaticamente perché non saprebbero come affrontare un fallimento figliesco e questo genererebbe una grandissima rottura di palle, di più, un problema inaffrontabile e misterioso.

Da Australia e US arriva uno studio che dice che la favola di Babbo Natale mina nel bambino la fiducia verso i genitori. I piccini a un certo punto si renderanno conto di essere stati presi in giro per anni e allora sai, metteranno in discussione tutto, compresa l'antica credenza che la famiglia è il nucleo centrale e fondamentale dell'intera società.
Viviamo in tempi pericolosissimi, state attenti.

Ma andiamo con ordine e affrontiamo tutti insieme, con un bel respirone, la questione dei genitori spazzaneve.
Anch'io li ho avuti genitori così. Erano però tempi antichi e le cose non erano ancora perfettamente chiare. Così i miei, in una strategia concordata e condivisa, quel maledetto spazzaneve l'hanno sempre guidato verso di me, accumulando al mio cospetto montagne di neve, roba da farci un villaggio di igloo e fondare nuove comunità Inuit. E' andata che ho imparato a sciare.
Anche loro volevano fossi la più brava, ma mica per non affrontare eventuali problemi, ma per quella bella filosofia consequenziale, lineare, per cui se ti impegni al massimo è sicuro che sarai bravissima. Se non sei bravissima vuol dire che non ti stai impegnando. La semplicità proprio.
Adesso si è tutto complicato. Se non sei bravissimo è evidente che il maestro ce l'ha con te, che ha puntualizzato qualcosa di troppo che ti ha traumatizzato, povero figlio mio; è evidente che l'allenatore è un povero sfigato che non sa vedere le tue potenzialità infinite, non sei tu, cuore di mamma, è il resto del mondo che è sbagliato o comunque ce l'ha con te, perché sono tutti invidiosi.
Capisco che tutti noi in adolescenza abbiamo giurato solennemente che mai saremmo stati adulti uguali ai nostri genitori, ma cerchiamo anche di ricordare se il giuramento era stato fatto da sobri, perché altrimenti non vale e possiamo rivedere il tutto, senza venir meno alla nostra integrità.

Se tutto ciò non fosse già di per sé preoccupante, si aggiunge la questione Babbo Natale. Non esiste e non si capisce perché raccontiamo sta balla colossale a bambini incapaci di discernere tra realtà e fantasia. Brutti che siamo! Infingardi, proprio e sciocchi. Non capiamo che scoprire che Babbo Natale è solo fantasia provocherà nell'ordine:
- Trauma
- Perdita di fiducia nei genitori
- Frustrazione
- Senso di perdita
- Con un po' di pazienza, Alzheimer
- Richiesta di riscatto da parte dei figli, che dichiareranno di essere stati sequestrati dalle fantasie che noi abbiamo creato loro.
Dovremmo essere più pratici e far aprire una lista regali ai bambini, nel loro negozio preferito. Niente attese, nessun se sarai buono, mai più notti di Natale insonni o sveglie all'alba al grido di "E' passato Babbo Nataleeeeeee, veniteeeeeeeeeee!!"
E' ora di finirla con sta cosa della magia.
Il mondo non si basa sui desideri e sull'attesa, ma sul tasto compra con un click.



L'articolo sui genitori spazzaneve lo trovate qui
Quello su Babbo Natale qui

venerdì 25 novembre 2016

Non voglio il 25 novembre

Ci sono post che vorrei non scrivere.
Ci sono giornate che vorrei non esistessero.
Oggi è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
Se c’è bisogno di una giornata così, vuol dire che c’è bisogno di attirare l’attenzione, di dire forte, insieme, in più Paesi, che ehi basta, basta.
Se c’è bisogno di una giornata così, vuol dire che durante tutto il resto dell’anno non se ne parla abbastanza o comunque non si fa abbastanza per abolire il 25 novembre dall’elenco delle giornate internazionali di qualcosa.
E’ quindi una giornata triste, impegnativa, dura da digerire.
In questa giornata si ricordano le vittime del femminicidio. Che è un termine che word mi segnala come non corretto e me lo sottolinea a zig zag, rosso. Che è il modo discreto di word di dirmi machecazzohaiscritto, rileggi (anche machecazzohaiscritto lo sottolinea in rosso, ma qui ha ragione).
Femminicidio è una parola che non dovrebbe esistere, ha ragione word. 
Non avremmo dovuto essere costretti ad inventarla, preferendo di gran lunga i vari “petalosi” o “lavoro agile”, da poco approvato dall’accademia della Crusca, per dire le prime due che mi vengono in mente.
Quella riga rossa sta, indelebile, sotto ogni nome di donna che non c’è più.
A dire machecazzohaifatto.
Una riga rossa a ziga zag sotto ogni nome. Che è il modo di word di dire che quella morte lì è sbagliata.
Non la voglio più la giornata del 25 novembre.
E’ ora di correggere, di scrivere una nuova pagina, senza segni.
Come senza segni deve essere ogni donna.






martedì 22 novembre 2016

C'è sempre una prima volta

Diventare mamma ti mette di fronte a tantissime prime volte, soprattutto quando è la prima volta che diventi mamma.
Queste, o simili, erano le considerazioni che facevo ieri, seduta su una sediolina da prima elementare, mentre aspettavo il mio turno per il colloquio con i maestri.
Il primo colloquio.
La mia prima volta.
Guardavo il corridoio lindo della scuola, i disegni appesi, il piccolo via vai dei genitori.
Pensavo “ E se mi dicono che proprio non ce la fa?” meditavo risposte, ma la più sensata era fingere uno svenimento e mettere fine a tutto.
Aspettavo, un po’ emozionata.  Anche per il fatto che fosse la prima volta che facevo qualcosa.
Pensavo che solo ieri chiedevo all’infermiera come si cambia un pannolino e che mille anni fa mi stupivo di quanto fosse stancante allattare. E adesso sto imparando l’alfabeto e a fare le A dentro il rigo.
Si è mischiato tutto in quei 10/15 minuti scarsi di attesa, come se gli ultimi 5 anni e mezzo fossero dentro la centrifuga e io fuori a guardare l’oblò. Che lo faccio davvero di guardare l’oblò della lavatrice, per verificare che non si siano mischiati i colori e cogliere al volo due calzini uguali che girano e girano.
Speriamo non mi dicano che è un calzino spaiato.
Insomma, la prima volta è sempre un po’ un’incognita, sono piccole emozioni nuove che non sai dove andranno.
La prima volta. Da mamma di uno che va a scuola.
Un attimo fa era mia mamma che mi guardava severa e mi diceva “Brava, ma sono certa che puoi fare di più” che mai una gioia ai tempi non era un hashtag, ma un sistema educativo.
Tendo a ricordarmele le prime volte, anche il primo bucato rosa, per il calzino rosso, spaiato.
Questa me la ricorderò.
La seggiolina, il corridoio lindo, la pioggia, e il mio sorriso da orecchio a orecchio.
Qual è l’ultima volta che hai fatto qualcosa per la prima volta?

mercoledì 16 novembre 2016

PARENT, la felicità di genitori e figli arriva dalla Danimarca

Lo sapevate che la Danimarca è il Paese più felice d’Europa e forse del mondo?
E lo sapevate che i bambini lì sembrano essere i più sereni ed equilibrati dell’intero sistema solare e oltre?
Io no, ma a tutto c’è rimedio.
Anzi, per tutto c’è un metodo, che i rimedi fanno nonna, i metodi sono più pratici e moderni.
Parent è il metodo educativo danese, che assicura armonia e felicità in famiglia.
E’ un acronimo, sta per:

Play (gioco)
Authenticity (autenticità)
Reframing (ristrutturazione degli aspetti negativi)
Empathy (empatia)
No ultimatum
Togetherness (intimità)

Il metodo è stato messo a punto da una mamma americana sposata a un danese e da una psicoterapeuta danese, entrambe mamme di figli da crescere.
Le due, rifacendosi alle abitudini educative della Danimarca, hanno individuato in PARENT le parole chiave per un’educazione equilibrata e armonica.

Giocare tanto e all’aperto, soprattutto per i più piccoli. Lasciandoli liberi di interagire con gli altri bambini e senza intervenire. Gioco libero. Sovraccaricare i bambini di troppi impegni, orari e doveri è controproducente. Capito mamme dei mille corsi e troppi stimoli?
L’autenticità si coltiva in famiglia, dando il buon esempio, esprimendo i propri sentimenti, leggendo storie che raccontino diversi stati d’animo. Parlare ai figli in modo semplice e naturale. Ma anche non lodandoli ogni momento, spesso a sproposito. Insegniamo piuttosto ad amare ciò che fanno (il processo) e non il risultato in sé, è così che l’autostima si rafforza davvero.

Reframing. Inquadrare bene la realtà, anche nei suoi aspetti negativi. Cioè la capacità di trovare dettagli positivi anche in una situazione negativa, essere inguaribili ottimisti realisti. Vivere positivamente anche ciò che positivo non è fa una grande differenza.

L’empatia riduce il narcisismo. Imparare a mettersi nei panni degli altri riduce il bullismo e aumenta la felicità. Provare a cercare il bene negli altri è un esercizio che possiamo fare a qualunque età, non è mai troppo tardi. Insegniamo a non dare etichette negative.

No ultimatum. Niente castighi, sfuriate, frasi ad effetto tipo “non vedi la tv da qui all’eternità se…” Ovvero evitare di mettersi in opposizione, in quel braccio di ferro perfettamente inutile che ingaggiamo con i bambini nei momenti di massima ostinazione. Spiegare le regole, le ragioni, con rispetto e calma. Costantemente. Sii rispettoso e sarai rispettato, questa è la filosofia.

L’intimità è, naturalmente, in famiglia. Nelle cose che si fanno insieme, come fossero sempre un momento speciale. Sia mangiare insieme, cantare una canzone, inventare un gioco nuovo. L’importante che ci sia uno spazio psicologico dedicato a questi momenti, che devono essere senza barriere, lasciando fuori le negatività delle nostre giornate.

Questo approccio mi è piaciuto tanto, sembra una fiaba rassicurante, mi sembrava di respirare meglio alla fine dell’articolo che trovate qui: http://d.repubblica.it/lifestyle/2016/10/21/news/come_educare_i_figli_metodo_danese_consigli-3274388/?ref=fbpr&ch_id=sfbk&src_id=0001&g_id=1&atier_id=00&ktgt=sfbk0001100
Chissà se accettano bimbi italiani nelle colonie estive danesi.

martedì 8 novembre 2016

Cosa non ti piace dell'essere mamma?

Io lo chiedo sempre, a ogni amica : “Cosa non ti piace proprio dell’essere mamma?” 
Perché è inutile girarci intorno, abbiamo tutte qualcosa che non ci piace, ma non sempre siamo disposte a dirlo.
In effetti la domanda richiederebbe una sola risposta :”fatti i fatti tuoi”, che è molto political correct.
Invece la risposta più frequente, non senza un secondo di occhi bassi è “Mi piace tutto, cosa puoi desiderare di più di questi cuccioli?”
A me cucciolo riferito a un bambino da fastidio, mi fa regalo di natale che scodinzola gioioso, non riesco mai ad associarlo a una persona. Come non riesco a vedermi tipo mamma gatta, per dire. La gatta è molto più brava di me.
La stessa domanda la rivolgo a me, ogni tanto e mi rispondo, guardandomi dritta nei miei occhi interiori.
Tra mancanza di saggezza e forte propensione all’improvvisazione, ci sono cose che non ho imparato ad amare, nel ruolo di mamma. 

La mancanza di tempo. Ho passioni lente, che richiedono tempo. Scrivere, per esempio. O fare lunghe, lunghissime passeggiate. Messe da parte entrambe. Momentaneamente, mi dico. Però non vedo la fine del momento. Punto quindi su periodi di insonnia, che aspetto come un dono, perché durante il giorno io lo spazio per le passioni lente non lo trovo proprio. In Insomnia I trust, la notte potrebbe essere la soluzione.

Parlare tanto. Spiegare sempre. Parlare semplificando non perdendo in esattezza, che se no chissà cosa gli insegno. Ogni tanto mi difendo dietro un laconico “non lo so, tesoro”, ma insomma a seminare troppi non lo so non credo che il raccolto possa essere buono.
Aspettare. Un tempo infinito. Per mettergli il pigiama, per lavare i denti, per uscire, per mangiare, per tornare a casa, per fare i compiti. Ogni cosa è dopo. Ma dopo io mi sono già trasformata in un tritapalles Rex e lo so che sono antipatica.

Fingere di morire ogni sera, sotto i colpi di spade, pistole, proiettili di gomma, lotte epiche. Muoio benissimo. Passo un sacco di tempo accasciata sul pavimento, in lente agonie. Però mica mi diverto, anzi un po’ mi dispiace abbandonare questo mondo e il minestrone sul fornello. Ogni tanto protesto e dico che la mamma, in quanto tale, è immortale. Ride.

Il non avere quasi più pensieri miei. Ogni azione, progetto, intenzione è plurale. Non è più possibile l’istinto, buttare tutto all’aria, rifare, cambiare, magari pericolosamente. Ok, si chiama responsabilità, ma il mio lato impulsivo e un po’ selvatico mi manca.

Il silenzio. Non c’è più.

Poi certo, ci sono quelle coccole, le risate, la meraviglia, lo stupore, l’energia, camminare per mano, la gioia, l’amore, le caramelle succhiate e lasciate in giro e tutto sembra avere un senso, anche morire ogni sera.
Sembra.
Cosa non ti piace proprio dell’essere mamma?




martedì 25 ottobre 2016

Di smartworking e febbre.

smartworking e febbre
Da quest'anno l'azienda in cui lavoro ha aderito allo smartworking.
Ciò significa che 4 giorni al mese si può lavorare da casa, evitando così traffico, tante ore fuori casa, self service affollati e generalmente scadenti,
Ci si può concedere la tuta, le infradito, il non truccarsi e varie derive così, che riscaldano il cuore e ti ricordano che in fondo non sei molto diversa da quella che, ere geologiche fa, stava in camera sua, in tenuta simile, a studiare e cazzeggiare.Ovvio che una poi lavora motivatissima, se pensa di avere ancora 18 anni :)
Ecco sì, i giorni, rari, in cui riesco a lavorare da casa, mi rivedo studente e in fondo mi sento ancora una ragazzina.
Per questo io amo lavorare da casa.

Se sono a casa da sola.

Perchè oggi, invece, c'è Cig a farmi compagnia.
Con la febbre.

Ora, bambino + febbre è una combinazione imprevedibile, è una X variabilissima e umorale.
Se ieri dava come risultato bambino angelico e coccoloso, per esempio, oggi la X corrisponde a lagna dura senza paura.
Ho smesso di contare i "mamma" a 1500, ma solo perchè circa un centinaio sono stati pronunciati mentre ero al telefono o stavo scrivendo quella mail che non permette distrazioni.
Ho preparato nell'ordine, naturalmente a richiesta (io che neppure ho allattato a richiesta, per dire):
pasta in bianco con tanto parmigiano, ma mamma no, non mi sento di mangiare;
pane e nutella, in cui il pane è variato in 3 diverse declinazioni, non incontrando però i suoi gusti;
frittata, dai mamma che la preparo io. Ma poi no, veramente non ce la faccio più a mangiare;
Stappato 4 succhi diversi
Profferto tisane magiche, biscotti salutari, mele salvifiche, ma niente.
Pazienza mangerà

Io credo di aver messo sù 3kg oggi, odio buttare via il cibo.

Ho scoperto di avere le orecchie indipendenti: una ascolta il telefono e aiuta il cervello a dare risposte sensate, l'altra raccoglie rantoli di febricciatola e varie lamentazioni, contemporaneamente, con lo stesso livello di attenzione e proattività.
Ho il superpotere dell'ubiquità. Posso essere in call con il cliente e fare le coccole; essere al computer e al tempo stesso misurare la febbre e approntare rimedi, inventando favole, tenendo sott'occhio quel file xls che non è davvero il mio pane.
Leggere Geronimo Stilton (naturalmente recitando i vari personaggi) e memorizzare un powerpoint; avere i cartoni animati in sottofondo e intrattenere una di quelle conversazioni telefoniche in cui devo essere serissima e autorevole.
Il multitasking come mai l'avevo conosciuto.
A pranzo abbiamo anche telefonato a GF per rassicurarlo sullo stato di salute
"Papà, si sto meglio, ma quando torni tu che stare con mamma è noiosissimo?"
La soddisfazione proprio.

Ogni bimbo ha il diritto di ammalarsi, ma in modo autonomo
Ogni bimbo ha il diritto di essere stufo al secondo giorno di fila di pioggia e di febbre, ma non può per questo torturare nessuno dei due genitori
Ogni bimbo con la febbre ha diritto di avere il divano e la tv tutta per sè o, in alternativa e non in offerta cumulabile, la mamma a sua disposizione.
Ogni bambino, può dire "che noia" massimo due volte al giorno e questo in salute o in malattia, nella buona e nella cattiva sorte. Inoltre il che noia deve essere generico e non indirizzato verso la mamma.

Comunque è andata, dai.
Lavorare da casa è una grande possibilità, soprattutto nella gestione delle piccole emergenze, tipo la febbre.

Però credetemi, quando si è casa da soli è molto, molto, molto meglio.






venerdì 21 ottobre 2016

Alla finestra, sperando di non cadere

Ci sono i periodi così, un po' interlocutori, in cui più che partecipare davvero stai alla finestra e cerchi di capire.
Mi sento affacciata alla finestra da quando Cig ha iniziato la scuola.
Le prime 3 settimane abbiamo dovuto affrontare l'ansia da ingresso, calmare pianti e incoraggiare almeno a varcare la soglia.
Superato questo primo, ma pesante, empasse, stiamo cercando ora di far scoccare la passione per il colorare. Colorare tutto, colorare bene, rispettare i margini e possibilmente riuscirci in un tempo inferiore all'era geologica.
La questione sembra semplice, ma per una mamma che non ha mai amato partcolarmente colorare, soprattutto per la questione dei margini, è difficile trasmettere non dico passione, ma almeno convinzione. Colorare mi piace adesso, ma da piccola, a scuola, era un tormento.
Rivendico in realtà il diritto dei disegni in bianco e nero, magari con qualche sbuffo di colore qua e là, tanto per vivacizzare.
Mettiamoci pure che in un suo momento così delicato e complesso ci metto del mio.
Sarà la pre-menopausa (la primapara tardona ha anche questo plus da non sottovalutare: affronta un suo proprio cambiamento profondo in piena infanzia del pargolo); sarà che sono sempre in viaggio, ma un minuto sono la fata turchina e un attimo dopo il lupo cattivo, in un'altalena emotiva che spiazza me, figuriamoci un 5emezzoenne alle prese con la prima elementare.
Insomma sto alla finestra, sbrracciandomi senza una ragione o guardando un orizzonte indefinito.
Opeterei per un silenzioso oblio, almeno per un po'.
Opzione non prevista, che io sappia, per le mamme.
E' un momento complesso come i cambi di stagione.
Un fuori sincrono totale tra energia a disposizione e quella richiesta.
Alla finestra, sì, sperando di non cadere.

Voi cosa fate per ricaricarvi e riprendere il passo giusto?

martedì 11 ottobre 2016

Il co-sleeping dipende dal carattere

Ciao, sono LaWising e non ho mai praticato il co-sleeping.
Oh ecco, il coming out era necessario.
Non abbiamo mai dormito tutti e tre nel lettone, nè mai ho avuto questo desiderio.
Fin dall'inizio mi è sembrato molto logico, e anche amorevole, che ognuno avesse il proprio spazio, un lembo di lenzuolo personale da stropicciare a piacere, sogni tutti per sè.
Cig ha condiviso da subito questa nostra inclinazione: fin da piccolissimo stare nel lettone tra mamma e papà era più un gioco, una cosa estemporanea da terminare non appena arrivava il sonno vero.
Crescendo è rimasto più volte deluso dal fatto che dovessimo condividere la stessa cabina in nave o la stessa stanza d'albergo. 
"Uh bello qui e voi dove dormite?" 
"con te" 
"Ma io voglio dormire da soloooo"

Questo per dirvi che il co-sleeping non è la cosa più naturale del mondo, va a carattere, di genitori e figli.
Noi abbiamo caratteri da sonni solitari, a quanto pare.
In questi giorni però è stato necessario dormire in tre, poichè la camera di Cig è stata imbiancata e con l'odore di vernice dormire non si può.
Co-sleeping tardivo, accolto con entusiasmo e finito in insonnia collettiva.
L'inizio è stato facile, ci siamo addormentati tutti per almeno mezz'ora.
Cig però è un esploratore notturno, cioè lui vuole avere piena conoscenza e possesso dello spazio circostante. Se incontra un ostacolo semplicemente lo spinge via. 
Ho smesso di contare dalla decima spinta in poi.
Ho poi scoperto che si gira moltissimo nel letto e lo fa come fosse un mulino a vento, con le braccia spalancate. Lui non si gira, lui frulla. E noi eravamo frappè dopo neppure un paio d'ore.
Ritrovata un po' di pace, non saprei dire come, sono piombata in un sonno profondo per risvegliarmi poco dopo con la sensazione netta di essere sul punto di morire. Soffocata, schiacciata. 
Ho visto la mia vita scorrermi davanti, mi sono perfino ricordata di quella volta che ho rubato un mandarino al fruttivendolo, ho chiesto scusa di tutti i mei peccati, prima di rendermi conto che potevo sfilarmi e riprendere a respirare normalmente. Amen.
Era solo il frugoletto che non trovando spazio a sufficienza si era steso sulla mia schiena, scambiandomi per un futon. 
25 kg di cuore di mamma sulla zona sacro lombare. 
Nell'intervallo tra una spinta, una frullata e momenti futon, sentivo GF chiedergli di spostarsi un pochino, di girarsi di là, di stare fermo un momento.
Cig brontolava qualcosa in sonnese stretto, frullava gambe e braccia, riprendeva una posizione per lui comoda, apriva un occhio, sbuffava e via da capo.
Abbiamo dormito sul bordo estremo del letto, messi lì come lame di coltello,  a tratti ho dovuto mettere giù un piede per non cadere a terra, mentre Cig a 4 di spade ci spingeva oltre, verso il baratro e il pavimento.
Bello davvero il co-sleeping. Voi esattamente come ve la cavate?
Comunque.
Il mattino dopo eravamo tutt'e tre esausti.
"Mica si dorme tanto bene con voi" ha detto tra un latte e cioccolato e un biscotto.
"Già, meglio ognuno nel proprio letto" ho risposto fiduciosa
"Sì. Io nel lettone. Voi dove dormite?"

Il co-sleeping è in realtà una pratica pericolosa e piena di tranelli. Non fidatevi di chi ne parla in modo entusiasta ;) 


lunedì 3 ottobre 2016

Di grandi imprese, camerette e giorni della settimana.

A volte ci si imbarca in imprese troppo grandi per le nostre limitate forze.
Per Cig è imparare i giorni della settimana a memoria, che questa cosa della memoria è un concetto oscuro almeno quanto le convenzioni che scandiscono il tempo.
Fin qui il tempo è stato misurato essenzialmente in "dopodormito" o al massimo nel "dopomangiato". Una settimana, con tanto di giorni chiamati in modo diverso, è un concetto troppo lontano dalla realtà sperimentata.
Tremo al pensiero che a breve sarà la volta dei mesi dell'anno.
Sto già sondando l'intero web alla ricerca di filastrocche, fiabe, insegnamenti subliminali.
Un sito carino è questo, nel caso siate anche voi in prima elementare e alle prese con le stesse cose. Se ne avete altre a disposizione vi prego di postarmele nei commenti, ne va della nostra sopravvivenza, grazie.

Altra impresa che adesso so che è da evitare com il male assoluto è : cambiare la camera bimbi.
Sapete quel momento in cui il pargolo non sta più nel lettino lungo e stretto, in cui l'armadio scoppia e una selva di scatole stanno in giro per la stanza? Ecco, quello.
A giugno o giù di lì ci siamo avventurati nella scelta della famigerata "cameretta".
Come scegliere:
1) Sconsiglio gli arredi a tema. La princepessa o supereroe del momento in capo a due anni sembreranno ridicoli. Meglio stare sul sobrio, diciamo così.
2) Preferite colori riposanti. Tutte le tonalità di bianco e colori poco accesi, in modo da favorire il riposo.
3) Funzionalità. Il letto alto, a soppalco, mi piace da matti perchè mi permette di usare il sotto come zona studio/gioco. Parliamoci chiaro però: rifare un letto così è faticoso, così come girare il materasso, cambiare le lenzuola, accudire il pargolo in caso di febbre o peggio vomito.
La cameretta a ponte salva spazio, ma di fatto l'armadio si dimezza o comunque resta in alto e poco acessibile. Meglio, a mio avviso, sfruttare gli angoli e la lunghezza delle pareti.
4)Materiali. Atossici, possibilmente e con vernici ad acqua.
5) Due letti, anche se è figlio unico. Prima o poi vorrà far venire qualcuno a dormire o magari servirà a voi in notti di sogni brutti, influenza o cose così.
6) Guardatela nel tempo. Chiedetevi se tra 5-10 anni vi piacerà ancora. Decidete l'acquisto solo se la risposta è sì.

Tra qualche giorno la consegneranno.
Cose da fare:
1) Smaltire gli arredi che verranno sostituiti. Spesso il ritiro dell'usato lo fa chi vi ha venduto la camera nuova, ma è un servizio a pagamento che inciderà sulla spesa complessiva (solitamente viene richiesto un tot a metro lineare). Vendere ciò che non vi serve più è una soluzione, come trovare il rigattiere di zona che ritira gratuitamente se cedete gli arredi senza chiedere un pagamento. Distribuire ad amici con bambini più piccoli.
2) Cogliete l'occasione per eliminare cose che non servono più. Svuotando l'armadio da smaltire salteranno fuori cose impensabili e dimenticate, è il momento giusto per fare ordine.
3) Visto che ci siete, dare una ridimensionata al numero di giocattoli presenti nella stanza è una buona idea. Potete donarli all'asilo, per esempio o organizzare una bancarella al parco, ma inutile tenere il carillon di quando era in culla, no?
4) Tinteggiare. Una volta smaltito lo smaltibile sarà il momento di tinteggiare. Scegliete colori riposanti, atossoci, lavabili. Per quanto autoritario possa sembrare scegliete voi. Un bambino intorno ai 6 anni preferisce le tinte accese, ma quell'arancio zucca stuferà tutti nel giro di pochi mesi.
5) Pazienza. Per qualche giorno, dallo smontaggio della vecchia camera all'arrivo della nuova, vivrete tra gli scatoloni. A me stressa da matti, ma non ci sono molte soluzioni. A meno che non abbiate una casa grande, con una stanza in più dove stipare il tutto, certo.
6) Non scappate di casa, prima o poi finirà.
Credo. Ve lo saprò dire.

E guardate il lato positivo.
Considerato che gli scatoloni in giro sono tanti, potete anche dare a ognuno il nome di un giorno della settimana: aiuterà voi a ricordare cosa avete messo nelle scatole e il pargolo a memorizzare i giorni.

Lunedì, la scatola delle scarpe
Martedì, tutte le magliette insieme alle sciarpe
Mercoledì, aprila solo se cerchi il cappotto
Giovedì, non girarla sopra sotto
Venerdì, pigiama e forse il giubotto
Sabato, libri e matite
Domenica, le tue cose preferite.

giovedì 22 settembre 2016

Miti, equinozi e #fertilityday

l'equinozio d'autunno coincide con la messa a riposo della Terra,
altro che giorno della Fertilità.
Avrei tantissima voglia di tornare sul Fertilityday che è proprio oggi.
Ho la tastiera che scalpita proprio, brontola e fuma come una pentola di fagioli.
Ma sarebbe troppo facile, sarebbe retorica.
Così vi racconto una storia, che ha a che fare con oggi, l'equinozio d'autunno.
La storia me l'ha fatta tornare in mente un'amica, anche lei un po' borbottona sul fertilityday, ma una borbottona colta, mica una che si scalda per immagini sbagliate, messaggi ambigui, metasignificati evidenti e agghiaccianti.
Mi ha fatto tornare in mente Persefone, che nell'equinozio d'autunno, oggi, tornava nel regno dei morti.
Andiamo con ordine.

Persefone (Persy per i più intimi) era figlia di Demetra e Zeus. Di Zeus già sapete, di Demetra è bene ricordare che era la dea della fertilità.
Persy era così carina da attirare le attenzioni dello zio, Ade, dio dell'oltretomba, che se la portò via ancora fanciulla e la sposò contro la sua volontà. Qui potremmo aprire lunghissime parentesi, ma chi sono io per giudicare gli dei, suvvia.
Demetra, cuore di mamma, non prese bene la cosa, anzi, cambiò proprio registro. Se prima era la dea che assicurava agli uomini anni interi di tempo soleggiato, acqua e fertilizzanti biodinamici in modo da far crescere messi abbondanti e non OGM, decise di manifestare il suo dolore con un inverno che sembrava non finire mai. Niente raccolti, niente frutta fresca che fa tanto bene alla salute, niente di niente, inverno freddo e terra sterile. Tiè a tutti, non venite a piangere da me che ho perso la mia Persy.
Zeus alzò gli occhi al cielo e non vide nessuno, chi volete ci fosse sopra di lui, e andò a negoziare con Demetra. Tanta stima Zeus, solo un dio è in grado di negoziare con una mamma furibonda.
"Demi - le disse pacato e senza neppure lanciare un fulmine - ascolta cara ..." ma prima che potesse finire Demetra gli lanciò contro un covone di fieno che lo mancò per poco.
"Demi tesoro, ascolta - riprese lui paziente - Ade è un gran mascalzone, anche da piccolo mi portava via tutti i miei fulmini preferiti e li andava a nascondere chissà dove nell'aldilà. Non lo doveva fare, sta cosa di Persy mi ha fatto andare giù di testa, che quasi abdico. Comunque. Perchè prendersela con quegli sfigati di uomini? Dai. Sù. Sono già messi male: hanno noi come divinità in vita e una volta morti vanno da Ade. Dai, anche una vita tutta in inverno no, è troppo"
"Tu non puoi dirmi niente - sibilò Demetra - non tu, con la famiglia che ti ritrovi. Io faccio come voglio"
Seguirono tafferugli, volarono parole grosse e per tutto il giorno l'Olimpo venne chiuso al traffico.
A sera però, forse entrambe esausti, trovarono un accordo.
Persefone sarebbe tornata a casa da mamma 6 mesi all'anno, per tutta la primavera e l'estate e sarebbe tornata da suo marito Ade in autuno inverno. Nei mesi di assenza di Persy, Demetra poteva rendere sterile la terra per farla poi rifiorire e fruttare a primavera.
E così andò.
Da allora l'equinozio d'autunno coincide con la messa a riposo della terra, che dorme, sterile e improduttiva, fino a primavera.
Il mito è stato poi intepretato da varie tradizioni, sono stati cambiati i nomi delle divinità per motivi di privacy, ma la sostanza resta la stessa: il passaggio di Persefone dalla mamma ad Ade simboleggia il passaggio dalla vita alla morte. In natura si traduce nel riposo della terra. Nella tradizione Wiccan, per citarne una che mi piace, è il tempo del riposo, della meditazione, del ringraziamento a Madre Terra per l'abbondanza concessa nelle stagioni precedenti.


Ora. Non è che al Ministero possano sapere tutto tutto, ma scegliere proprio il giorno in cui Demetra è di pessimo umore non mi sembra un grande auspicio per la fertilità.


martedì 20 settembre 2016

Tutto andrà bene

Che tutto sarebbe cambiato mi era perfettamente chiaro.
Più nebulosa era la questione del come sarebbe cambiato.
Adesso lo so.
Adesso so che è un momento davvero delicato.
Cig piange ogni mattina prima di entrare a scuola. Un pianto triste come un addio.
Cig ride la sera e parla a macchinetta, non la smette più e racconta che è stata una giornata più che buona, che hanno scritto sul quaderno, che è stato divertente.
Così io la mattina vado al lavoro con il cuore pesante e la sera vado a dormire tranquilla, sperando tanto tanto che l'indomani non pianga di nuovo.
Sono una frana nella gestione delle lacrime.
I capricci li riconosco e li liquido con l'indifferenza.
I pianti, quelli veri, mi galleggiano intorno all'ombelico per una giornata intera.
Così ho la pancia gonfia, l'emicrania, la testa per aria. Qualcuno la chiamerebbe pre-menopausa, io dico che è prima elementare, o comunque sono le due cose insieme.
Ci sono mattine che lo prenderei per mano e mi metterei a correre con lui, lontano, verso il mare, una giornata intera fare castelli di sabbia, affondare le mani, bagnare i piedi, abbandonare la cartella, lanciare pastelli. Non si può, lo so, non si deve, non si fa.
Ci sono mattine che vorrei che a scuola ci andasse da solo, altre in cui vorrei entrare con lui e sedermi vicino a guardare con i suoi occhi la giornata che tanta ansia gli da.
Perchè io non lo so cosa vede lui e mi resta il dubbio di non comprendere davvero quel pianto del mattino.
Oscillo tra il se la caverà e il cosa posso fare, dondolando così forte che mi vengono le vertigini.
Non è senso di colpa.
Lo dico sempre.
La colpa la senti quando potresti fare qualcosa di diverso ma non lo fai, non è il mio caso.
Non sono neppure preoccupata. Cig sta bene.
E' più una tenerezza infinita e il non saper trovare parole più belle e convincenti da dirgli di un "tutto andrà bene".
E' cambiato tutto.
Lui che mai ha pianto prima di lasciarmi, io che mai ho avuto il cuore pesante nel lasciarlo, ora siamo in una terra nuova, intensa, bella, difficile.

giovedì 15 settembre 2016

Prima elementare, 5 cose che ti sentirai dire dagli altri.

Non immaginavo, ma anche la scuola attira commenti parecchio bizzarri.
L'inizio della prima elementare, prima primaria che dir si voglia di Cig, ha raccolto reazioni varie.
La commozione nostra, la gioia di Cig, l'incoraggiamento di zii e nonni. Fin qui tutto bene, ma in agguato ci sono sempre gli altri, che spesso non gestiscono bene la questione degli auguri.
Le mamme lo sanno, è dalla gravidanza che si sorbiscono commenti e consigli non richiesti, che navigano tra le proprie convinzioni a onde anomale di "te lo dico io che ci sono già passata".
La scuola non fa eccezione, non è libera da commenti e consigli.
Ho raccolto i 5 più comuni.

 "E' finita la pacchia, adesso vedrai con i compiti"
Ok non sarà l'attività più piacevole del mondo, ma nutriamo speranza ragionevole di affrontarli e di lasciare anche tempo alla pacchia, che mai deve mancare.

"uuuuh povero bambino".
Solitamente l'esclamazione è coronata da sguardo compassionevole verso il pargolo, perchè naturalmente viene detta in sua presenza. In questo frangente Cig mi guarda interrogativo, visto che da mesi gli vado raccontando delle meraviglie che la scuola racchiude in sè.

"E adesso sì che dovrà andare a dormire presto, altrimenti non ce la farà" che va a braccetto con "Poverino, si stancherà così tanto a scuola da non riuscire a fare altro"
Cig a dormire presto ci va da quando è nato e quindi ce la farà, giusto?
Lo so, la scuola è molto impegnativa. Si stancherà. Così andrà a dormire presto e ce la farà.
Anche a continuare l'allenamento di rugby e giocare al parco.
E comunque mi sento di rassicurare tutti: la stanchezza non è una malattia, non a 5 anni almeno.

"Mi raccomando, non assillarlo con la scuola".
Cosa voglia dire esattamente non lo so, quindi accolgo la raccomandazione con sguardo compreso. Magari mi sarà chiaro più in là. O magari no. Mah

"Eeee, così anche lui imparerà cosa vuol dire avere un lavoro"
Il salto logico di questa frase è per me troppo alto, rischio di cadere, inciampare, stramazzare.
La scuola non è un lavoro, con cui forse condivide solo l'orario e la quotidianità.
La scuola è un mondo nuovo da esplorare, un'avventura, una lunga domanda a cui seguono tante risposte.
Magari avessimo lavori altrettanto interessanti.

Queste le mie 5 cose sull'inizio della scuola più riccorenti.
Quali le vostre?

lunedì 12 settembre 2016

La primipara tardona e il Fertility Day.

La tentazione di dire la mia era stata fortissima a tempo debito, nei due giorni di bufera e polemica.
Ho preferito però lasciar andare, sedimentare, digerire.
Adesso però due cose due sul Fertility Day le voglio dire.
Le dico da primipara tardona, da mamma over 40, le dico da lavoratrice e da cittadina.

Che minchia vi è venuto in mente? Che è sta roba del fertility day?

Al di là della campagna pubblicitaria che liquiderei semplicemente con un penosa e di cattivo gusto, non ho colto il senso dell'iniziativa.
Così sono andata a leggermi il documento programmatico, per fare luce e squarciare le mie personalissime tenebre ( in cui comunque dormivo benissimo).

L'esordio è questo:


Per favorire la natalità, se da un lato è imprescindibile lo sviluppo di politiche intersettoriali e interistituzionali a sostegno della Genitorialità, dall'altro sono indispensabili politiche sanitarie ed educative per la tutela della fertilità che siano in grado di migliorare le conoscenze dei cittadini al fine di promuoverne la consapevolezza e favorire il cambiamento. Lo scopo del presente Piano è collocare la Fertilità al centro delle politiche sanitarie ed educative del nostro Paese. 

Che a ben leggere non vuol dire un granchè, ma fa niente, chi sono io per giudicare.
Solo mi sono resa conto che mai avevo immaginato che uno Stato avesse a cuore il mio figliare, visto che poi non ha cuore la mia progenie. Altrimenti ci sarebbero aiuti a iosa e io non avrei bisogno di pagare una persona che ci aiuti. La parte "sanitaria" della genitorialità è pochissima cosa, rispetto a tutto ciò che viene dopo. E su questo punto tutti noi genitori siamo molto consapevoli.
però se un FertilityDay si è reso necessario, se è stato necessario pagare una campagna pubblicitaria, se il Ministero della salute si è preso la briga di dirci quando, come, perchè fare figli un buon motivo ci sarà.
Il piano si prefigge diverse cose, sviluppare conoscenza, informare, migliorare l'assistenza sanitaria e
Operare un capovolgimento della mentalità corrente volto a rileggere la Fertilità come bisogno essenziale non solo della coppia ma dell’intera società, promuovendo un rinnovamento culturale in tema di procreazione.

Qui ho avuto paura, ma sono donna coraggiosa e sono andata avanti nella lettura.
E' fatto bene il documento, ha punte inarrivabili di comicità, come quando dice che la denatalità mette a rischio le politiche di welfare. 
Non sarà piuttosto che la mancanza di un welafare sensato impedisce di pensare seneramente a un figlio?
Ha senso il documento, è un lungo dipanarsi dei consigli della nonna, quelli che ti dava mentre tirava la pasta per i ravioli, tra una canzone di Gianni Morandi e il TGR delle 11.
Se parlare con la nonna, però, aveva in sè qualcosa di magico, come se impastando i ravioli si mettessero le mani nel senso della vita stessa, leggere il documento ha più della ricetta sbagliata, della madeleine proustiana andata a male, così ogni ricordo, convinzione, senso della famiglia, responsabilità nelle scelte hanno un saporaccio.
Insomma, il documento l'ho trovato indigesto almeno quanto la campagna pubblicitaria.
Perchè non ha, a mio avviso, un significato reale, calato nella realtà, aderente al periodo che stiamo vivendo. E' antistorico, insomma, non tiene in nessun conto alcuni apsetti
Bisogna lavorare in due, altrimenti non si arriva a fine mese
Bisogna poter contare su aiuti molto concreti, che non sono solo economici, ma strutturali
Bisogna, se dobbiamo pensare alla fertilità come a un bene comune, che anche i bambini nati da cotanta fertilitudine siano altrettanto considerati una ricchezza comune
Bisogna capire che non è che si fanno meno figli perchè le donne studiano e lavorano (giuro, nel documento c'è anche questa considerazione), ma perchè siamo genitori soli, spesso lontani dalle famiglie di origine, senza supporti familiari, che comunque non è giusto si sostituiscano al welfare.
Insomma. 
Per me è no.

Che ne pensate?

Il documento del FertilityDay lo trovate qui




mercoledì 7 settembre 2016

E' l'ultimo giorno di com'era fin qui.

Alzi la mano chi domani inizia la scuola, poco importa il grado.
Alzi la mano chi è emozionato.
Cioè chi riesce ad alzarla, che la mia trema, insieme al braccio, alla pancia e alle ginocchia.
Oh sì, sono emozionata.
Così, senza un vero perchè. In fondo ci va lui, mica io, no?
Ma pensare che tra qualche tempo condivideremo il super potere della lettura, per esempio, mi stordisce di gioia; che scoprirà un'inifinità di cose nuove mi mette in fibrillazione come se le dovessi scoprire io.
Poi ho speranze che coltivo con ostinazione, tipo miglioreranno i lavoretti e saranno a me comprensibili; miglioreranno i disegni che lo so che per lui è frustrante quando chiedo "Uh bello, ma cos'è?"; capirà la scansione del tempo e avremo conversazioni in cui ieri, oggi e domani saranno al loro posto e non ammassati tutti insieme nell'adesso.

Ho paure terribili, anche.
I gruppi whatsapp delle mamme
Le mamme perfette e quelle competitive
Le riunioni con le maestre in orari in cui sarò altrove e sarà una vita da tetris, da quel pezzo che non sai mai come incastrare, quello che sembra un Z obesa, per intenderci.
I compiti che non capirò e dovrò farmi aiutare dalle nipotine
I compiti che non capirò e Cig invece sì
Il momento in cui Cig, a suo insindacabile parere, saprà tutto e noi niente e non potrò più dargli le risposte corrette, ma fantasiose che gli do adesso.

Oh sì, ho tanto da temere.
E oggi è anche l'ultimo giorno di com'è stato fin qui, se non fosse abbastanza.
Ecco, voi come state?


Per il primo giorno di scuola,  vi lascio un bel racconto di Rossella Calabrò (mi ha dato il permesso). A me ha fatto tenerezza. E anche pensare alla bimba del piano di sopra e al fatto che anche noi siamo il bambino del piano di sopra ;)

Si intitola la signora Pipistrella e il primo giorno di scuola, lo trovate qui:http://scriviamo.libreriamo.it/scriviamo/la-signora-pipistrella-e-il-primo-giorno-di-scuola-di-rossella-calabro/

e anche qui di seguito ;)
Buon primo giorno a tutti!




La signora Pipistrella si chiamava, in realtà, Rossella. Ma siccome la mattina dormiva e la notte scriveva, i bambini del piano di sopra la chiamavano Pipistrella. E lei li chiamava Lucy, da lucertolina, e Oky, da occhioni. Lucy era una bellissima bambina coi capelli lunghi come le fate, che apparecchiava la tavola alle lucertole del suo terrazzo con i piattini e le pentoline delle bambole. Che amava i gatti così tanto che se dicevi gatto lei si metteva a piangere dalla commozione.

Oky aveva un potere speciale: si ricordava i numeri di tutto il mondo. Dov’è la pizzeria? In via del Basilico numero tremilaseicentoventitré. Ed era sempre il numero giusto, né uno di più né uno di meno. Solo che questi bambini, come tutti i bambini, appena svegli correvano incontro alla giornata per dirle ciao. E, come in tutti i palazzi con le pareti sottili, a chi abitava sotto sembrava che corressero indossando, al posto dei piedi, due lingotti di titanio. BUM BUM BUM! E SBADABUM quando magari inciampavano.

La signora Pipistrella, che aveva scritto storie fino alle tre di notte, si svegliava con un salto, era mattina presto ma per lei era piena notte. Allora si metteva un cuscino sopra le orecchie, poi due, poi tre, poi ci aggiungeva un gatto vero e uno di peluche, ma quei BUM BUM li sentiva lo stesso. Io tag-lio loro kuei pietini ti titanio, pensava la Pipistrella che, quando si arrabbiava, parlava o pensava in tetesko. Poi le veniva da ridere, e buonanotte. No, niente buonanotte perché non si riaddormentava più, e passava la giornata con lo sguardo da zombie, occhi rossi e nervi a fior di pelle. Allora magari provava a dormire un po’ nel pomeriggio, per recuperare le ore di sonno perdute, ma RRRRRRRRROTOLLLLL!

C’era una pallina di piombo di Marte (che pesa molto di più per via della gravità) che le rotolava sulla testa. Kazzen, pampini, con kosa giokate atesso? pensava la pipistrella. E intanto, RRRRRRROTOLLLLLL, la pallina di piombo marziano rotolava, rotolava rotolava e la teneva sveglia. Poi un giorno, come per magia, arrivò per Lucy e per Oky il primo giorno di scuola. Erano così emozionati, ma così emozionati, che al posto dei piedini avevano cuori di velluto e, al posto della pallina di piombo marziano, in casa loro faceva le capriole uno scoiattolo venuto apposta dal pianeta Venere, che è il pianeta dell’amore, per far vedere a tutti quanto era morbido e puffoloso e silenzioso.

Queste cose la signora Pipistrella non le sapeva, un po’ perché non poteva vedere quello che succedeva al piano di sopra, un po’, soprattutto, perché dormiva. Era mattina presto, e lei dormiva, beata come una fata, come una crostata, come un’orata, con le palpebre che pesavano una tonnellata. Dormì, dormì, e poi dormì ancora fino a tardi, fino a che si svegliò persino rintronata, da quella gran dormata. Che sarebbe dormita, ma i pipistrelli amano le rime. Buon primo giorno di scuola, bambini belli, disse la pipistrelli. E pensò, quasi con una nostalgia anticipata, ai lingotti di titanio che un giorno non troppo lontano sarebbero diventati sneaker e tacchi a spillo, e sarebbe finita la magia. Intanto però, lei e la mamma dei bambini uscirono a cena e si divertirono e risero e diventarono amiche. Perché anche le mamme, quando i figli vanno a scuola, tornano un po’ bambine. 

(Rossella Calabrò)