Non mi capita spesso, ma quando capita lo riconosco subito, mi ci perdo dentro, ne esco diversa, non necessariamente migliore.
Lo chiamo "il giorno di nebbia", anche se non dura mai un giorno solo, ma si allunga e si stiracchia per stagioni intere.
Nel mio giorno di nebbia non riesco a leggere, scrivere, uscire, cucinare con passione; lavoro male, ho pensieri appannati, non ho neppure voglia di vestirmi come si deve.
Mi pesa tutto, non solo il fianco, non solo la sveglia al mattino.
L'umore è neutro, silenzioso, ovattato, è bianco, è grigio, la luce è soffusa, senza ombre, senza una forma precisa.
Il giorno di nebbia l'ho sempre avuto, meno da quando c'è Cig: da genitore hai meno tempo di perderti chissà dove, tra le brume di te stesso. Hai da essere presente e pimpante. Per questo adesso questa nebbia mi ha presa un po' in contropiede, quasi non ricordavo più come fosse e quanto a lungo potesse durare. E' scesa bassa e fitta, la nebbia, da qualche tempo. All'inizio mi fa sempre un po' paura, poi lascio che sia così com'è: la fatica di uscirne in fretta è spossante, molto più che restarci.
Allora sto.
Il giorno di nebbia è il momento di cercare quello che servirà: nuove idee, decisioni, ispirazione, energia, pace.
Nella nebbia vedi chiaramente solo te stesso, tutto il resto è sfumato, velato, sprofondato in prospettive distanti. Per questo si acquiscono i sensi, l'intuito, la sensibilità, il sentire profondo. E' nel giorno di nebbia che decido dove andare dopo, cosa fare e cosa abbandonare.
Mi guida il cuore, non la testa. Mi guida il senso profondo di me, non ciò che devo essere. Il desiderio, non il necessario, l'immaginazione, non le certezze.
E' un giorno tosto, quello di nebbia. Prezioso, impegnativo, mi porta lontano per riportarmi poi a me. In una giornata di sole, in cui tutto sembra diverso, in cui sicuramente qualcosa è cambiato.
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