Cado spesso, molto spesso, ok troppo spesso, nella tentazione di confrontare la bambina che ero con il bambino che è oggi Cig.
Che è tipo paragonare un piccolo dinosauro al gatto di casa: probabilmente seguendo le linee genetiche si troverebbe un punto in comune, ma così remoto da non avere significato.
Così come non ha molto senso raccontare a Cig quel senso sconfinato di avventura, pericolo, emozione, scoperta che avevo io alla sua età. Io e la mia bici, io e i pattini, io e i giochi inventati siamo dinosauri, lui è la generazione Z o chissà quale lettera.
Ere gelogiche ci separano, molte di più di quelle che hanno separato noi dai nostri genitori. E questo incasina non poco il ruolo di genitore, che se non possiamo fare appello all'esempio diventa tutto più complicato.
Inoltre i ruoli si invertono, almeno in parte: siamo noi che cerchiamo di capire come vivono loro, cosa vogliono e cosa vogliono imparare.
Se per noi la bicicletta è stata tutto, da astronave a cavallo, Cig e molti suoi coetanei la guardano con sufficienza, con lo stesso interesse, o poco più, che avrebbero per il comodino della nonna. Lo stesso per i pattini e in generale per tutte quelle cose che richiedono un imparare graduale nel tempo. Perfino lo sport, in molti casi, è guardato con sospetto, come fonte di stanchezza fine a se stessa e quindi inutile.
Noi imparavamo a saper fare, a loro basta imparare, il fare è una complicazione che probabilmente affronteranno più in là.
O magari no e siamo noi, adesso, a voler complicare perchè è così ci ricordiamo il crescere: pieno di cose da imparare, anche difficili, anche, a ben vedere, inutili. In fondo non mi è servito un granchè aver imparato a leggere velocemente el elorap al contrario, aver sbucciato molte più ginocchia di quelle a disposizione e bucato più pantaloni di quelli che avevo.
Eppure era fuori questione che imparare ad andare in bici, tanto per stare sull'esempio, fosse cosa necessaria: tutti andavano in bici, non saperci andare equivaleva a essere espulsi dal regno incantato dei bambini con cui giocare.
Adesso non è più così. I bambini fanno troppe cose e troppo diverse tra loro, il gruppo si disorienta e si disperde.
Impossibile trovare un terreno di gioco comune. Bisognerebbe andare a cavallo come Michele e Rosa, giocare a calcio come Lorenzo, Marco, Filippo, imparare la vela come Paola e Federico, suonare il piano, la batteria, la campana tibetana, fare judo, ma anche Karate, rugby, basket, disegno, cucina, cucito, danza, meditazione e in tutto ciò ricordarsi di essere bambini e di avere almeno un amico preferito.
Impossibile.
Noi imparavamo quello che c'era, era poca roba, alla fine ci riuscivamo anche.
A scuola le cose non vanno meglio. Il metodo di insegnamento attuale ci spiazza, perchè, per esempio, parte dal riconoscere le parole senza sapere nulla delle singole lettere. Si parte dalla parola, poi la sillaba, quindi la lettera, in un percorso piuttosto tortuoso in cui un po' ci si dimentica che lo scopo è quello di imparare a leggere e scrivere. In più le parole sono tante e molto diverse tra loro, anche di più dei corsi a cui vogliamo iscrivere i nostri bambini, e ancora una volta non si impara tutti insieme qualcosa, ma ognuno per sè e come può.
In questo caos ci sta che i bambini abbiano poca voglia di saper fare, perchè non sanno decidere cosa è prioritario e ci sta che noi ci affaniamo a cercare la cosa giusta per loro.
La cosa giusta non esiste, mettiamoci pure l'animo in pace.
Affannarsi a cercare ci stanca tutti, noi e loro.
Rallentiamo: il passo bambino è diverso dal nostro e camminare fianco a fianco è meglio che continuare a gravitare intorno a loro.
E' anche l'unica posizione in cui riusciamo a guardare nella stessa direzione, il che può tornare utile :)
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