Com'è iniziata ...

Mi avevano detto che i figli bisogna averli da giovane.
Mi avevano detto che dopo i 35 è rischioso e anche faticoso.
Mi avevano detto che dopo i 40 è follia.
Quello che non dicevo io era che non avevo tutta questa intenzione di riprodurmi.
E niente, poi è andata che mi sono ritrovata a scrivere un blog per mamme, con un occhio di riguardo alle over 40.

venerdì 25 novembre 2016

Non voglio il 25 novembre

Ci sono post che vorrei non scrivere.
Ci sono giornate che vorrei non esistessero.
Oggi è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
Se c’è bisogno di una giornata così, vuol dire che c’è bisogno di attirare l’attenzione, di dire forte, insieme, in più Paesi, che ehi basta, basta.
Se c’è bisogno di una giornata così, vuol dire che durante tutto il resto dell’anno non se ne parla abbastanza o comunque non si fa abbastanza per abolire il 25 novembre dall’elenco delle giornate internazionali di qualcosa.
E’ quindi una giornata triste, impegnativa, dura da digerire.
In questa giornata si ricordano le vittime del femminicidio. Che è un termine che word mi segnala come non corretto e me lo sottolinea a zig zag, rosso. Che è il modo discreto di word di dirmi machecazzohaiscritto, rileggi (anche machecazzohaiscritto lo sottolinea in rosso, ma qui ha ragione).
Femminicidio è una parola che non dovrebbe esistere, ha ragione word. 
Non avremmo dovuto essere costretti ad inventarla, preferendo di gran lunga i vari “petalosi” o “lavoro agile”, da poco approvato dall’accademia della Crusca, per dire le prime due che mi vengono in mente.
Quella riga rossa sta, indelebile, sotto ogni nome di donna che non c’è più.
A dire machecazzohaifatto.
Una riga rossa a ziga zag sotto ogni nome. Che è il modo di word di dire che quella morte lì è sbagliata.
Non la voglio più la giornata del 25 novembre.
E’ ora di correggere, di scrivere una nuova pagina, senza segni.
Come senza segni deve essere ogni donna.






martedì 22 novembre 2016

C'è sempre una prima volta

Diventare mamma ti mette di fronte a tantissime prime volte, soprattutto quando è la prima volta che diventi mamma.
Queste, o simili, erano le considerazioni che facevo ieri, seduta su una sediolina da prima elementare, mentre aspettavo il mio turno per il colloquio con i maestri.
Il primo colloquio.
La mia prima volta.
Guardavo il corridoio lindo della scuola, i disegni appesi, il piccolo via vai dei genitori.
Pensavo “ E se mi dicono che proprio non ce la fa?” meditavo risposte, ma la più sensata era fingere uno svenimento e mettere fine a tutto.
Aspettavo, un po’ emozionata.  Anche per il fatto che fosse la prima volta che facevo qualcosa.
Pensavo che solo ieri chiedevo all’infermiera come si cambia un pannolino e che mille anni fa mi stupivo di quanto fosse stancante allattare. E adesso sto imparando l’alfabeto e a fare le A dentro il rigo.
Si è mischiato tutto in quei 10/15 minuti scarsi di attesa, come se gli ultimi 5 anni e mezzo fossero dentro la centrifuga e io fuori a guardare l’oblò. Che lo faccio davvero di guardare l’oblò della lavatrice, per verificare che non si siano mischiati i colori e cogliere al volo due calzini uguali che girano e girano.
Speriamo non mi dicano che è un calzino spaiato.
Insomma, la prima volta è sempre un po’ un’incognita, sono piccole emozioni nuove che non sai dove andranno.
La prima volta. Da mamma di uno che va a scuola.
Un attimo fa era mia mamma che mi guardava severa e mi diceva “Brava, ma sono certa che puoi fare di più” che mai una gioia ai tempi non era un hashtag, ma un sistema educativo.
Tendo a ricordarmele le prime volte, anche il primo bucato rosa, per il calzino rosso, spaiato.
Questa me la ricorderò.
La seggiolina, il corridoio lindo, la pioggia, e il mio sorriso da orecchio a orecchio.
Qual è l’ultima volta che hai fatto qualcosa per la prima volta?

mercoledì 16 novembre 2016

PARENT, la felicità di genitori e figli arriva dalla Danimarca

Lo sapevate che la Danimarca è il Paese più felice d’Europa e forse del mondo?
E lo sapevate che i bambini lì sembrano essere i più sereni ed equilibrati dell’intero sistema solare e oltre?
Io no, ma a tutto c’è rimedio.
Anzi, per tutto c’è un metodo, che i rimedi fanno nonna, i metodi sono più pratici e moderni.
Parent è il metodo educativo danese, che assicura armonia e felicità in famiglia.
E’ un acronimo, sta per:

Play (gioco)
Authenticity (autenticità)
Reframing (ristrutturazione degli aspetti negativi)
Empathy (empatia)
No ultimatum
Togetherness (intimità)

Il metodo è stato messo a punto da una mamma americana sposata a un danese e da una psicoterapeuta danese, entrambe mamme di figli da crescere.
Le due, rifacendosi alle abitudini educative della Danimarca, hanno individuato in PARENT le parole chiave per un’educazione equilibrata e armonica.

Giocare tanto e all’aperto, soprattutto per i più piccoli. Lasciandoli liberi di interagire con gli altri bambini e senza intervenire. Gioco libero. Sovraccaricare i bambini di troppi impegni, orari e doveri è controproducente. Capito mamme dei mille corsi e troppi stimoli?
L’autenticità si coltiva in famiglia, dando il buon esempio, esprimendo i propri sentimenti, leggendo storie che raccontino diversi stati d’animo. Parlare ai figli in modo semplice e naturale. Ma anche non lodandoli ogni momento, spesso a sproposito. Insegniamo piuttosto ad amare ciò che fanno (il processo) e non il risultato in sé, è così che l’autostima si rafforza davvero.

Reframing. Inquadrare bene la realtà, anche nei suoi aspetti negativi. Cioè la capacità di trovare dettagli positivi anche in una situazione negativa, essere inguaribili ottimisti realisti. Vivere positivamente anche ciò che positivo non è fa una grande differenza.

L’empatia riduce il narcisismo. Imparare a mettersi nei panni degli altri riduce il bullismo e aumenta la felicità. Provare a cercare il bene negli altri è un esercizio che possiamo fare a qualunque età, non è mai troppo tardi. Insegniamo a non dare etichette negative.

No ultimatum. Niente castighi, sfuriate, frasi ad effetto tipo “non vedi la tv da qui all’eternità se…” Ovvero evitare di mettersi in opposizione, in quel braccio di ferro perfettamente inutile che ingaggiamo con i bambini nei momenti di massima ostinazione. Spiegare le regole, le ragioni, con rispetto e calma. Costantemente. Sii rispettoso e sarai rispettato, questa è la filosofia.

L’intimità è, naturalmente, in famiglia. Nelle cose che si fanno insieme, come fossero sempre un momento speciale. Sia mangiare insieme, cantare una canzone, inventare un gioco nuovo. L’importante che ci sia uno spazio psicologico dedicato a questi momenti, che devono essere senza barriere, lasciando fuori le negatività delle nostre giornate.

Questo approccio mi è piaciuto tanto, sembra una fiaba rassicurante, mi sembrava di respirare meglio alla fine dell’articolo che trovate qui: http://d.repubblica.it/lifestyle/2016/10/21/news/come_educare_i_figli_metodo_danese_consigli-3274388/?ref=fbpr&ch_id=sfbk&src_id=0001&g_id=1&atier_id=00&ktgt=sfbk0001100
Chissà se accettano bimbi italiani nelle colonie estive danesi.

martedì 8 novembre 2016

Cosa non ti piace dell'essere mamma?

Io lo chiedo sempre, a ogni amica : “Cosa non ti piace proprio dell’essere mamma?” 
Perché è inutile girarci intorno, abbiamo tutte qualcosa che non ci piace, ma non sempre siamo disposte a dirlo.
In effetti la domanda richiederebbe una sola risposta :”fatti i fatti tuoi”, che è molto political correct.
Invece la risposta più frequente, non senza un secondo di occhi bassi è “Mi piace tutto, cosa puoi desiderare di più di questi cuccioli?”
A me cucciolo riferito a un bambino da fastidio, mi fa regalo di natale che scodinzola gioioso, non riesco mai ad associarlo a una persona. Come non riesco a vedermi tipo mamma gatta, per dire. La gatta è molto più brava di me.
La stessa domanda la rivolgo a me, ogni tanto e mi rispondo, guardandomi dritta nei miei occhi interiori.
Tra mancanza di saggezza e forte propensione all’improvvisazione, ci sono cose che non ho imparato ad amare, nel ruolo di mamma. 

La mancanza di tempo. Ho passioni lente, che richiedono tempo. Scrivere, per esempio. O fare lunghe, lunghissime passeggiate. Messe da parte entrambe. Momentaneamente, mi dico. Però non vedo la fine del momento. Punto quindi su periodi di insonnia, che aspetto come un dono, perché durante il giorno io lo spazio per le passioni lente non lo trovo proprio. In Insomnia I trust, la notte potrebbe essere la soluzione.

Parlare tanto. Spiegare sempre. Parlare semplificando non perdendo in esattezza, che se no chissà cosa gli insegno. Ogni tanto mi difendo dietro un laconico “non lo so, tesoro”, ma insomma a seminare troppi non lo so non credo che il raccolto possa essere buono.
Aspettare. Un tempo infinito. Per mettergli il pigiama, per lavare i denti, per uscire, per mangiare, per tornare a casa, per fare i compiti. Ogni cosa è dopo. Ma dopo io mi sono già trasformata in un tritapalles Rex e lo so che sono antipatica.

Fingere di morire ogni sera, sotto i colpi di spade, pistole, proiettili di gomma, lotte epiche. Muoio benissimo. Passo un sacco di tempo accasciata sul pavimento, in lente agonie. Però mica mi diverto, anzi un po’ mi dispiace abbandonare questo mondo e il minestrone sul fornello. Ogni tanto protesto e dico che la mamma, in quanto tale, è immortale. Ride.

Il non avere quasi più pensieri miei. Ogni azione, progetto, intenzione è plurale. Non è più possibile l’istinto, buttare tutto all’aria, rifare, cambiare, magari pericolosamente. Ok, si chiama responsabilità, ma il mio lato impulsivo e un po’ selvatico mi manca.

Il silenzio. Non c’è più.

Poi certo, ci sono quelle coccole, le risate, la meraviglia, lo stupore, l’energia, camminare per mano, la gioia, l’amore, le caramelle succhiate e lasciate in giro e tutto sembra avere un senso, anche morire ogni sera.
Sembra.
Cosa non ti piace proprio dell’essere mamma?